Classe 1976, esperta di informatica e neuroscienze, è stata inserita nel 2018 da Forbes tra le world’s 50 Top Women in Tech e quest’anno ha ricevuto il National Geographic Award in quanto leader di un settore innovativo e di impatto che si è spinta oltre il suo campo di indagine compiendo scoperte di valore straordinario.
È Fei-Fei Li, docente del Computer Science Department della Stanford University, cofondatrice e direttrice dello Human Centeres Artificial Intelligence Institute, dove compie esperimenti cognitivi e di neuroimaging per scoprire come vede e pensa il cervello umano.

È la massima esperta di Intelligenza Artificiale, la donna che insegna l’etica ai robot.
“La computer vision, la visione artificiale è la chiave per rendere operativa l’Intelligenza artificiale e costruire un sistema visivo rende palese come funzioni l’intelligenza”, sostiene la Li. Determinanti sono stati in questa direzione i suoi studi di neuroscienze, che l’hanno spinta ad insegnare ai computer, esattamente come si fa con i bambini. Osservando scene, oggetti ed immagini del mondo che li circonda.
Con il suo Image-Net ha segnato una svolta importante nel campo dell’AI, consentendole di operare come opera oggi. Un database capace di raccogliere fino a 15 milioni di immagini che rappresentano la realtà sono i dati che forniscono ai computer l’idea e l’interpretazione di ciò che vedono.
Ma la vera sfida di oggi e di domani per la scienziata è insegnare ai computer a ragionare come gli esseri umani e a comprendere non solo il contenuto di ciò che vedono. Ma anche relazioni, emozioni e intenzioni. L’impatto sociale che oggi hanno i robot è limitato ma domani potrebbe non esserlo. Per questo la tecnologia secondo Fei-Fei Li va pensata in termini non solo di software e hacking codes ma anche in termini di valori umani.
Un abuso di AI può avere un impatto negativo sulle persone. È il caso delle applicazioni a cui le aziende tech ricorrono. L’accesso ai dati personali così come le ripercussioni sulla privacy del riconoscimento facciale o gli algoritmi portatori di interpretazioni razziste e sessiste, discriminatorie, la sorveglianza e la sicurezza sono solo alcuni esempi.
L’impegno etico che la comunità tecnologica e la società devono assumersi non può che andare in una direzione di tutela, vista la potenza della tecnologia. Il tutto va guidato seguendo regole condivise.
“L’AI è ispirata dalle persone e creata dalle persone e soprattutto ha ripercussioni sulle persone, è pertanto uno strumento che richiede responsabilità”, ha sottolineato l’esperta.
Per tutte queste ragioni, la strada che la Li intende percorrere è quella di “avanzare nella ricerca, nell’istruzione e nelle pratiche e politiche che interessano e riguardano l’intelligenza artificiale, con l’unico obiettivo di migliorare le condizioni umane”.
C’è molto entusiasmo intorno alla possibilità di migliorare le condizioni di lavoro come la sanità, i trasporti, l’industria manifatturiera. Ma si percepisce anche una crescente preoccupazione. A tal proposito secondo la Li etica e tecnologia non possono crescere in maniera disgiunta. Bisogna promuovere un dialogo continuo con neuroscienze e psicologia, perché questa tecnologia si ispiri alle emozioni, l’intelligenza, le intuizioni, perché collabori con le persone. Un lavoro importante che faccia si che l’ambiente dell’AI sia inclusivo e rifletta la diversità della società globale in cui viviamo, dell’intera umanità.
Perché alla fine non importa quanto sia potente questa tecnologia ma importa che i rapporti umani restino al centro della società, spingendoci a fare del bene verso gli altri.